#37 E se si offende?
che lingua parlare in pubblico + vieni a conoscermi + due giochi semplici da fare in macchina
Cara amica, caro amico,
Benvenuta e benvenuto a Parlo anch’io!, la newsletter sull’italiano per bambine e bambini in contesti multilingui.
Venerdì si è svolto il primo Parlo anch’io! incontra, l’incontro mensile per le famiglie che leggono questa newsletter. Sono stata super contenta di conoscere alcune lettrici e soprattutto per la sorpresa che anche due simpaticissimi bambini hanno partecipato alla chiacchierata!
L’argomento di oggi è proprio ispirato a quella conversazione.
Se anche tu vuoi partecipare al prossimo incontro, venerdì 25 aprile alle ore 9 PST (California) | 12 EST (New York) | 18 CET (Roma).
Sono incontri informali a cui puoi partecipare in pigiama, con o senza bambine e bambini (o gatti, cani e chi altro ti passa per casa), da casa dalla macchina o dal parco. We get it, non ci formalizziamo :) Ci confrontiamo su come sostenere il multilinguismo nel casino della vita quotidiana con bimbe e bimbi piccoli.
Se invece sei libera questo sabato, 5 aprile, alle 10 EST | 16 CET puoi partecipare al webinar gratuito di presentazione del corso Multilinguismo: concetti, strumenti e benefici che terrò in collaborazione con la scuola Collina Italiana di New York.1
Vieni a conoscermi e a scoprire il percorso!
Il 5 aprile faremo un’intro generale e guarderemo i concetti chiave e i principali approcci al multilinguismo.
Il 10 maggio parleremo di strumenti e semplici pratiche quotidiane di sostegno al multilinguismo in famiglia, con esempi e attività
Il 14 giugno parleremo dell’importanza e dei benefici della lettura nello sviluppo multilingue, con idee pratiche per leggere in una famiglia multilingue
Il 12 luglio parleremo di come porre le basi per la multiliteracy, cioè l’alfabetizzazione multilingue, e di come sostenerla durante il percorso scolastico
Ma veniamo all’argomento del giorno…
E se si offende?
La domanda che è emersa venerdì è una domanda legittima e molto comune:
Che lingua è meglio usare coi miei figli in pubblico?
E se le altre persone si sentono tagliate fuori?
E se si offendono?
Sono domande frequenti ma non banali, e la risposta giusta non c’è. Vorrei, però, offrirti qualche spunto di riflessione che spero possa aiutarti a prendere decisioni consapevoli a riguardo.

Partiamo da un aneddoto: per un anno mio figlio ha avuto una babysitter, Cristi, di origine messicana, che era arrivata negli Stati Uniti a undici anni e parlava spagnolo con la propria famiglia.
Una volta, Cristi aveva accompagnato suo padre a una visita medica. Nella sala d’attesa c’erano lei e il padre, seduti da un lato, e un’altra signora, seduta dall’altro. Cristi e il padre chiacchieravano del più e del meno, in spagnolo, finché ad un certo punto la signora si è alzata, si è parata di fronte a loro e con toni arrabbiati ha urlato: “You’re in the United States! Speak English!” (Siete negli Stati Uniti! Parlate in inglese!)2
Episodi di questo tipo purtroppo non sono né unici né rari e sicuramente non spariranno in tempi brevi, ahimè, vista l’aria che tira tra un ordine esecutivo e l’altro.
Detto questo, però, mi chiedo e ti chiedo: era di Cristi la responsabilità di far sentire a proprio agio quella signora? Che diritto aveva una perfetta sconosciuta di esigere che due persone che si trovavano per caso a condividere con lei uno spazio per qualche minuto parlassero l’unica lingua a lei comprensibile? E perché, così che lei potesse origliare meglio?
Di fronte a episodi di questo tipo, e soprattutto quando si tratta di genitori che parlano con i propri figli minori, mi verrebbe da reagire con fastidio: “Sciura, che problemi hai? La lingua che parlo coi miei figli non ti riguarda.”
La realtà, purtroppo, è più complicata di così, e di questi tempi sembra che basti un nonnulla per scatenare reazioni esagerate e violente.
Se, dunque, nella mia scala di valori ideale la responsabilità nei confronti dei miei figli e la difesa della libertà di scegliere quale lingue parlare in famiglia stanno al primo posto, nella mia scala di valori pragmatica stanno al primo posto l’incolumità fisica e psicologica.3
Dopodiché, se siete e vi sentite al sicuro, io non penso che sia nostra la responsabilità di far sentire a proprio agio la prima persona che passa di lì. Anche perché, come dico sempre, sono con mio figlio di tre anni: cosa vuoi che gli stia dicendo a parte “stai attento a non cadere” o “non lanciare i sassi”?
Il fatto che immediatamente si pensi che stiamo parlando di loro, come spesso succede, dice di più di quella persona che non di noi.
E questo per chi non conosco. Ma amici e parenti?
Ogni genitore ha provato almeno una volta l’ebbrezza di ricevere una lezione non richiesta su come educare (o vestire, o nutrire, etc.) i propri figli da parte del primo estraneo che attraversava la strada.
Ma se è mia suocera? Mio zio? La migliore amica di mia moglie?
Qui ci addentriamo nel campo (minato) delle dinamiche famigliari. Riguardo però alle scelte linguistiche della propria famiglia, in questo caso secondo me vale la pena avere una conversazione aperta, magari con qualche dato alla mano, con amici e parenti e spiegare i motivi e il valore delle proprie scelte.

Può bastare un “in famiglia parliamo italiano per questo e questo motivo. Ma sta’ sicura che se dico qualcosa che riguarda anche te lo traduco”.
Io di solito lo dico se, ad esempio, siamo invitati a casa di qualcuno per la prima volta e queste persone non ci hanno mai visto interagire in tre lingue. A volte sono loro che mi precedono chiedendo che lingua stiamo parlando, oppure lo dico io “ah sì, loro con me parlano italiano ma non preoccuparti, parlano e capiscono benissimo l’inglese e se c’è bisogno traduciamo”.
È più difficile spiegarlo che farlo: velocemente chi ti conosce imparerà che la vostra famiglia funziona così (“la vostra casa sembra Babele” ha detto una volta mia mamma “non si capisce niente!”, che in realtà significava “io non capisco niente” - noi ci capiamo benissimo!). Forse queste persone saranno curiose e ti faranno domande interessanti, o magari anche loro parlano un’altra lingua e si sentiranno sollevati e autorizzati a farlo anche in tua presenza (a noi è successo innumerevoli volte!).
Ricapitolando, dunque, penso si tratti di trovare un equilibrio tra il non ficcarsi in situazioni spiacevoli e il rimanere fedeli ai propri valori e alle proprie priorità.
Dove sta questo equilibrio per la tua famiglia? Non lo so. Ma ti incoraggio davvero a cercarlo e a non ascoltare i commenti della signora dal dentista: chi è più importante: lei, o tuo figlio o tua figlia?
Se hai tante domande di questo tipo e non sai a che santo votarti, una consulenza 1:1 con me potrebbe fare al caso tuo. Qui trovi tutte le info.
Due giochi da fare in macchina (o dove vuoi)
In chiusura ti propongo due giochi di parole semplici che puoi fare in macchina, in sala d’attesa, o dovunque ci sia bisogno di aspettare senza molta possibilità di movimento.
Il primo è quello che in inglese si chiama 20 questions ed è il classico gioco in cui una persona pensa a una cosa (o animale, o persona) e le altre devono indovinare facendo un massimo di venti domande a cui si può rispondere solo con sì o no.
In realtà, tutte le volte che ci ho giocato con bambine e bambini il limite delle venti domande non è mai stato necessario perché tendono a indovinare abbastanza in fretta.
Un’accortezza che utilizzo di solito, però, è quella di stabilire prima l’ambito del gioco (es. animali), in modo che ci sia un punto di partenza condiviso.
Qualche tempo fa avevo postato su Substack un’episodio divertente che mi era capitato giocando con mio figlio.
Le mie prime cinque domande:
È un mammifero?
È un uccello?
È un pesce?
È un rettile?
È un anfibio?
[era un anfibio ma non l’ho indovinato. Salamandra gigante cinese??]Le sue prime cinque domande:
È stato mandato nello spazio?
Si arrampica sugli alberi?
Può essere un animale domestico?
È piccolissimo?
Alla quinta non ci è arrivato perché poi ha indovinato [formica].
Questo gioco è ottimo per allenare e ampliare il lessico e può essere molto gratificante per bambine e bambini che hanno una passione speciale per qualcosa, perché permette loro di dimostrare le proprie competenze in un ambito specifico di cui magari l’adulto sa poco o niente (come nel mio caso con gli animali).
Consiglio anche di tenere un dizionario online a portata di mano perché è molto probabile che vengano fuori termini che non conosci! Anche quella è una bella occasione di scambio: per i bambini è importante vedere come l’adulto di riferimento si comporta quando non sa una cosa o una parola.
Il secondo è un gioco che nella nostra famiglia è stato importato da mio nipote e se ha un nome ufficiale, non lo conosco. Il gioco consiste nel creare una catena di parole a partire dall’ultima sillaba della parola precedente.
Se comincio io dicendo cane, la persona dopo potrà dire neve, quella dopo vela, quella dopo lacrima. E così via. Attenzione perché non è detto che i bambini, anche se scolarizzati ma in un’altra lingua, abbiano la stessa concezione di “sillaba” che si insegna nelle scuole italiane. Sta a te quanto vuoi addentrarti nell’argomento, ti basta anche dire che la parola dopo deve cominciare con la fine della parola prima.
Se invece cerchi un modo divertente per rafforzare proprio l’idea di sillaba (e la cosiddetta consapevolezza fonologica, cioè la capacità di riconoscere i singoli suoni che compongono le parole e che è alla base della lettoscrittura), questo gioco fa senz’altro per te!
È un gioco che potenzialmente potrebbe andare avanti all’infinito, quindi puoi valutare di mettere un timer o di fissare un numero massimo di parole da raggiungere. Perde ovviamente chi non riesce a pensare a una parola che cominci con la sillaba di turno. Superfluo dire che non vale ripetere le parole!
Buon divertimento e alla prossima!
Anna
Se il webinar ti interessa ma l’orario è proibitivo, fammi sapere che lo registro.
Per la cronaca questo è accaduto in California, dove quasi il 30% della popolazione è ispanofono e dove in alcune zone di alcune città l’inglese proprio non si sente.
Ad esempio, abbiamo una coppia di amici indiani che ha scelto di parlare sempre inglese quando sono in pubblico. Mi hanno detto: già siamo discriminati per il colore della pelle e l’accento, se poi ci mettiamo a parlare malayalam ciao. È giusto? No. Mi fa incazzare? Tantissimo. Ma li capisco? Assolutamente.