Cara amica, caro amico,
Benvenuta e benvenuto a Parlo anch’io!, la newsletter sull’italiano per bambine e bambini in contesti multilingui.
La puntata di oggi è un po’ particolare: non parliamo specificamente di italiano in contesti multilingui, ma di multilinguismo in generale. In occasione della Giornata internazionale della lingua madre, infatti, ho avuto il piacere di intervistare Malwina Gudowska, linguista ed esperta di multilinguismo.
In cima all’email trovi il video integrale dell’intervista (in inglese). Puoi attivare i sottotitoli cliccando sull’iconcina CC in basso a destra (ho passato varie nottate e litigare con vari sistemi di sottotitolazione, spero di essere riuscita a produrre un risultato decente!). Qua sotto invece c’è la traduzione in italiano.
È stata la mia prima esperienza video ed ero molto emozionata e nervosa, ma l’esperimento mi è piaciuto molto e spero che anche tu troverai interessanti i molti spunti offerti da Malwina.
Consiglio caldamente la lettura del suo libro Mother Tongue Tied, attualmente disponibile solo in inglese. Puoi seguire Malwina anche iscrivendoti alla sua newsletter Motherlingual.
Buona lettura e/o visione!
Anna
Lingua, madre, lingua madre
Malwina Gudowska è nata in Polonia, è cresciuta trilingue in Canada e attualmente abita nel Regno Unito. Dopo aver lavorato in ambito giornalistico, Malwina ha deciso di dedicarsi alla ricerca accademica, prima con un Master in linguistica applicata e poi con un dottorato. Dalla sua esperienza personale di figlia trilingue di immigrati polacchi in Canada e di madre che cerca di trasmettere due lingue a suo figlio e a sua figlia, ma anche dalla sua ricerca in quanto linguista, è nato il libro Mother Tongue Tied, fortemente basato sulla ricerca accademica ma rivolto a un pubblico più vasto, non solo di linguisti ma di chiunque sia interessato o interessata a questioni di lingua, multilinguismo e multiculturalismo.
Anna Aresi (AA): L’occasione di questa chiacchierata è il 21 febbraio, la Giornata internazionale della lingua madre, che è stata annunciata dall’UNESCO nel 1999 e celebrata per la prima volta nel 2000. In questa giornata si commemorano gli studenti di lingua bengalese che hanno perso la vita in una protesta in difesa della propria lingua madre. Nel tuo libro, parli in modo approfondito delle molte connotazioni di espressioni come lingua madre, madrelingua e lingua nativa. Scrivi infatti che:
1Quando si tratta di lingua madre, però, l’inizio è l’unica cosa ricordata, perché associamo la prima lingua con la figura di cura principale, di solito la madre. Questo crea la falsa impressione che stia tutto lì, che esistano una sola fedeltà, un solo vero amore, una sola identità, tutte da giustapporre a una sola lingua, una sola cultura, una sola identità. Ma per i bilingui simultanei o per coloro che crescono con più di una lingua tutto ciò è semplicemente non vero. Le molteplici lingue, o le molte lingue madri, non sono sempre in conflitto tra loro.2
Alla luce di questa stratificazione di significati, qual è - per te - l’importanza della Giornata internazionale della lingua madre e perché è importante celebrarla?
Malwina Gudowska (MG): È una domanda interessante perché, come hai appena detto, ho scritto molto a proposito dell’espressione “lingua madre”, o piuttosto del fatto che possa essere facilmente fraintesa o che non abbia un significato univoco.
Però, come puoi facilmente immaginare visto che il mio libro si intitola Mother Tongue Tied,3 amo molto l’espressione “lingua madre”. La trovo molto poetica e carica di emotività, un termine con cui molte persone si sentono in affinità. Come sai, da linguisti, nell’ambito della ricerca spesso si usa L1, proprio per rimuovere l’aspetto emotivo. Ma penso che, in una giornata come quella della lingua madre, sia importante mantenere quella connessione emotiva, perché si cerca di raggiungere un pubblico più vasto, non solo di linguisti ma di molte più persone e persone multilingui.
È vero che nel libro parlo a lungo del fatto che sia un’espressione complicata e del fatto che dobbiamo smetterla di pensare solo in questi termini, perché sono spesso le madri a sentire una forte pressione di dover crescere figli che parlino la lingua di casa, perché si pensa all’idea di lingua madre, a sua volta associata con la figura della madre.
Però, nel celebrare una giornata importante come questa, dobbiamo ricordarci che ci sono persone che sono morte per la propria lingua; ogni volta che ci penso, penso a quante persone non si rendono conto di quanti, tutt’oggi, muoiono e soffrono per la propria cultura e per la propria lingua.
Quindi, in questo senso, è una giornata importantissima per celebrare tutte le lingue e le culture e per ricordarsi che siamo tutti multiculturali e multilingui, che è una cosa normale. Spesso, soprattutto se viviamo in certi posti, pensiamo che il monolinguismo sia lo standard, quando in realtà più della metà della popolazione mondiale è multilingue.
Per quanto riguarda invece il termine “lingua nativa” o “madrelingua” (native language), questo credo che sia un termine specifico da cui dovremmo allontanarci. Ci sono molti articoli che spiegano bene il fatto che spesso, soprattutto in ambiti educativi, l’espressione “madrelingua” è utilizzata in modo negativo per dire che se non sei una “madrelingua” di una lingua allora non sei una brava insegnante. Ecco, penso che una posizione come questa sia molto problematica, perché ovviamente ci sono anche implicazioni razziste nel modo in cui si decide chi è e come definiamo un “parlante madrelingua”.
Scusa, è stata una risposta molto lunga!
AA: No no, figurati! Del tuo libro mi è piaciuto molto il fatto che approfondisci il significato di idee, concetti, nozioni o parole che magari utilizziamo quotidianamente ma senza pensare ai vari livelli di significato. Ciò non significa che tu dica di non utilizzarle più, semplicemente porti una varietà di punti di vista riguardo a termini ed espressioni che diamo per scontate, con uno sguardo non giudicante, ma critico. Sono d’accordo, però, con quello che dici riguardo al “parlante madrelingua”. Ormai mi sembra che in certi contesti l’idea del “madrelingua” venga utilizzato quasi come strumento di marketing: “abbiamo docenti madrelingua!”. Ma tanto non è quello che rende un docente un bravo docente.
MG: Sì, al 100%! Hai proprio ragione, viene usato come strumento di marketing e come modo per innalzare qualcuno per abbassare qualcun altro, e magari quest’altra persona che non “parla come una madrelingua” è un’insegnante di lingua incredibile.
AA: Il tuo libro è uscito di recente, nel 2024, ma hai anche altri canali in cui condividi il tuo lavoro: la newsletter Motherlingual e una pagina Instagram con lo stesso nome. Qualche tempo fa hai scritto di aver intervistato più di 300 madri a proposito di maternità e lingua. Quindi volevo chiederti: cosa raccontano le madri multilingui, quali sono le storie che devono essere raccontate ma ancora non lo sono?
MG: Sì, mi sa che in quel post dicevo che siamo tutte molto stanche [ride]. Avevo preso una pausa per dedicarmi al libro e adesso sto riprendendo in mano la mia ricerca accademica. Qualche anno fa avevo condotto un grosso progetto di ricerca, avevo somministrato un questionario che sto ancora cercando di capire come utilizzare nella tesi. Per l’articolo che sto scrivendo adesso sto utilizzando le risposte di circa 300 madri, ma il questionario originale era molto grosso: aveva coinvolto circa 600 madri da tutto il mondo, che è un numero importante. Ho continuato ad analizzare i dati: sai, quando analizzi i dati devi continuamente tornare ai dati di partenza e capire cosa sta succedendo e quali sono i pattern che emergono.
È stato molto interessante, perché le madri che hanno risposto provengono da tutto il mondo e hanno risposto alle mie domande, in particolare in relazione al legame emotivo con la propria lingua madre. Ci sono tantissime esperienze, tutte diverse: persone diverse, storie diverse, bambini di età diverse, luoghi diversi. Allo stesso tempo, però, ci sono anche tantissimi temi comuni, e il mio lavoro di ricercatrice è proprio quello di trovare i fili conduttori. E la cosa incredibile è che sono madri da tutto il mondo, con figli di tutte le età, ma tutte provano sentimenti di frustrazione, preoccupazione o paura di non riuscire a trasmettere la propria lingua.
Piano piano queste storie vengono raccontate, ma dobbiamo continuare a parlare del fatto che non dobbiamo sentirci in colpa e che è una cosa difficile da fare.
Recentemente ho visto un’intervista a un’attrice polacca che raccontava della difficoltà di crescere i figli negli USA, e tra i vari commenti c’era una persona che diceva “non capisco di cosa parli, per me è molto facile!”. E chissà, forse era solo un troll, ma è interessante perché il consenso generale è che non è una cosa facile. E se per te è facile e i tuoi figli sono bilingui attivi, buon per te: sei stata fortunata ed è una cosa bellissima.
Ma per la maggior parte delle altre persone l’opinione condivisa è che crescere figli multilingui è difficile, soprattutto se il tuo o la tua partner non parla la tua lingua e se la lingua dominante della comunità è un’altra. Ci sono molti fattori che possono giocare a tuo sfavore. Poi i tuoi figli crescono e hanno voce in capitolo, hanno il diritto di esprimere una preferenza riguardo alla lingua che vogliono usare e a come vogliono comunicare.
Quindi, sì, il tema comune è che si tratta di un percorso difficile. La speranza è che, raccontando e condividendo queste storie, le madri cominceranno a sentirsi meno sole e il multilinguismo nei suoi diversi aspetti, attivo e ricettivo, sarà normalizzato.
È emerso anche come la maternità cambia il modo in cui ti relazioni alla tua lingua madre, anche in modi che non ti saresti mai aspettata. Forse pensavi che avresti cresciuto i tuoi figli in un certo modo, e lo fai, oppure avevi sempre pensato che li avresti cresciuti con la tua lingua madre ma poi ti sei accorta che è una cosa molto più difficile e diversa da quello che ti aspettavi.
Spero che raccontando queste storie, la gente si renda conto che, per molte persone, preservare la propria lingua madre non è una cosa facile. Ma è una cosa importante. E, quindi, come possiamo aiutarle e sostenerle?
AA: Forse adesso è troppo presto per poterti esprimere su questo, ma volevo chiederti se hai notato una differenza tra le varie parti del mondo. Ad esempio, l’Europa è più accogliente del Nord America nei confronti del multilinguismo? Esiste un posto nel mondo dove le madri si sentono sostenute nel portare avanti il multilinguismo?
MG: Non ho guardato alle differenze specifiche. In generale so che non ci sono abbastanza dati riguardo al Sud globale e che i questo senso qualcosa deve cambiare.
Non in base alla mia ricerca, ma in base alla mia percezione, penso che ci siano posti dove il multilinguismo è normale, Paesi in cui la gente parla lingue diverse o diverse varietà linguistiche e dove quindi il multilinguismo è una cosa normale.
L’altra cosa è che una persona cresciuta multilingue ha una percezione diversa del multilinguismo. Mi vengono in mente dei miei amici monolingui: non è che non pensino che il multilinguismo sia una figata, anzi molto di loro pensano che sia una cosa incredibile, però non cresciuti in quel modo e quindi ne hanno una percezione diversa, sia in negativo che in positivo.
Comunque, sì, sarebbe interessante sapere se ci sono dei luoghi specifici nel mondo in cui il multilinguismo è una cosa normale. Immagino di sì.
AA: Forse è più facile che persona che non è cresciuta multilingue abbia idee inaccurate rispetto a cosa significa davvero essere multilingue, mentre una persona che lo vive ne fa un’esperienza concreta e quindi ha anche delle aspettative più realistiche. Per esempio, il grande mito - che peraltro è stato sfatato un milione di volte, ma che tuttora persiste - che una persona bilingue sia la combinazione di due monolingue, che abbia una padronanza perfetta di entrambe le lingue. Lo vedo anche coi miei figli, perché la gente dice “oh che bello parlano tre lingue”, poi però se non sanno una parola in italiano, metti, o in cantonese, allora immediatamente c’è qualcosa che non va.
MG: L’altro giorno ho conosciuto un ragazzino che stava giocando a videogiochi con mio figlio. Ho sentito che diceva che parla quattro lingue: tedesco con la mamma, italiano col papà, e poi frequenta una scuola francese dove parla prevalentemente francese ma anche inglese. E gli ho detto “wow, che figata!” e mio figlio ovviamente voleva seppellirsi, del tipo smettila di parlare col mio amico che sto cercando di essere cool. E il bambino dice “Beh sì, è una figata parlare quattro lingue, ma in realtà se ne parli quattro non ne parlerai mai bene nessuna, non sarai mai forte in nessuna lingua”. E io subito: “Ma chi te l’ha detto? È stata un’insegnante? Chi ti ha detto che devi essere forte in una lingua e che le altre saranno deboli?” Per me è stato un momento molto significativo, e ovviamente gli ho detto di non ascoltare chi gli dice quelle cose, ma chissà se ascolterà un’estranea che si mette a parlare con lui.
Chiaramente qualcuno, ad un certo punto, gli ha fatto passare l’idea che se parli più lingue, alcune dovranno per forza essere inferiori. È ovvio che userai ogni lingua in ambiti diversi e avrai diversi tipo di padronanza, ma il modo in cui l’ha detto mi ha fatto pensare che dev’essere stato qualcuno con una forma mentis monolingue a dargli quell’idea.
AA: E secondo me cose del genere di solito vengono dagli adulti, perché i bambini - almeno, nella mia esperienza - di solito sono sicuri di sé. Tipo, i miei figli fanno spagnolo a scuola e mi dicono tutti sicuri “io parlo spagnolo” e gli dico “sì, è vero”. Hanno una sicurezza per cui dicono: ho incontrato questa lingua, ne ho fatto esperienza e quindi la parlo. È dopo che arrivano persone che insinuano dubbi e li fanno dubitare di se stessi, e i bambini cominciano a perdere questa baldanza, questa sicurezza.
AA: Ok, allora l’ultima domanda che ho è un po’ più personale ed una cosa che mi interessa anche personalmente. La maternità multilingue non è solo il fulcro della tua ricerca, è anche una componente importante della tua esperienza personale. Quindi volevo chiederti: qual è l’impatto emotivo dell’essere sempre immersa in ricerche e storie che ti toccano così da vicino? In che modo ti prendi cura ti te stessa? E come fai a fissare dei confini per fare il tuo lavoro senza esserne sopraffatta?
MG: Caspita mi sento onorata, nessuno mi chiede mai come sto! Non sono sicura di avere dei confini…
Ci penso spesso, ad esempio stamattina mentre eravamo in giro e uno dei miei figli fa più fatica a rispondere in polacco. Sono entrambi bilingui attivi, ma uno di loro ha più bisogno di incoraggiamento. Quindi finiamo per usare l’inglese, che è la loro lingua dominante. Ed è una cosa normale, succede in tante famiglie. Quindi anche oggi gli dicevo: "Ti prego, parla in polacco, te l’ho già chiesto cinque volte!" E poi ho pensato: "Oddio!"
Condivido quest’esperienza perché è importante far capire che, anche nelle famiglie dove c’è una linguista , bisogna comunque ricordare ai bambini di parlare la lingua di casa. E a volte è frustrante. Però sapere cosa dice la ricerca aiuta, perché so che non sono sola, che tante altre madri vivono la stessa cosa.
Quando ho ripreso in mano il lavoro del dottorato, sono stata contenta di poter leggere le esperienze di altre madri e di non parlare sempre della mia. Ma, sì, il lavoro e la vita si intrecciano sempre, a meno che tu non abbia un lavoro totalmente separato che puoi lasciare fuori dalla porta.
A volte mi sento quasi una terapeuta per le famiglie multilingui! Mi raccontano i loro problemi e io cerco di rassicurarle. Ma ascoltare queste storie è anche un grande privilegio, come lo è poter mostrare, dati alla mano, che crescere bambini bilingui non è facile, ma ne vale la pena.
E poi è tutto in costante cambiamento. Probabilmente lo vedi anche tu: ad ogni compleanno, ad ogni nuovo anno scolastico, ogni viaggio… tutto influisce sul modo in cui i bambini usano le lingue. Ed è questo il bello della lingua: è sempre in evoluzione.
Alla fine, i miei figli sono persone. Io posso fare del mio meglio, ma poi sono loro a decidere. A volte è frustrante, ma devo ricordarmi di non essere troppo dura con me stessa.
Sicuramente tu capisci, perché anche tu ci sei dentro. Tu come la vedi coi tuoi figli?
AA: La domanda mi è venuta perché a volte mi agito troppo. Magari leggo qualcosa e mi colpisce così tanto che non riesco a dormire. Vorrei trovare un modo per separare di più le cose, ma non è facile… faccio tanto yoga!
MG: È importante accettare che è tutto intrecciato. Ogni famiglia è diversa, ogni madre è diversa. Però, sì, a volte mi sveglio e penso: "Questa settimana abbiamo parlato troppo poco in polacco, è stato un disastro!" E mio marito cerca di tranquillizzarmi.
AA: Lavorare coi bambini e le famiglie è interessante perché non è solo una questione linguistica, ma di genitorialità in generale. Puoi avere tutte le teorie del mondo, ma poi devi metterle in pratica con i tuoi figli, che sono persone a sé.
E penso che spesso si sottovaluti quanto i bambini abbiano una loro autonomia fin da piccoli. Ovviamente quando sono appena nati hanno bisogno di tutto, devi dargli da mangiare, vestirli, etc. Ma sono già delle persone con una loro personalità che emerge fin da subito. Essere genitori è una negoziazione continua con un altro essere umano. E se poi sono più di uno, si complica ancora di più!
MG: “Una continua negoziazione” - bellissimo. È proprio così. È una negoziazione con te stesso, con i tuoi figli, con tutto ciò che ti circonda. Ed è un buon promemoria che le cose cambiano sempre.
AA: Mi è piaciuto molto quello che hai detto sul voler ascoltare le esperienze delle altre madri. Perché alla fine è proprio così: sapere di non essere sole in questo percorso è fondamentale e il senso di comunità è una cosa importantissima.
E credo che il tuo libro faccia proprio questo: è ben documentato, pieno di risorse. Ma allo stesso tempo ci parla di esperienze quotidiane in cui ci si può ritrovare. Mi piace come hai intrecciato la ricerca con la tua esperienza e quella di altre madri; credo che renda il tutto più accessibile, più vicino alla realtà di tutti i giorni.
MG: Sono felice che tu dica così, perché era proprio il mio obiettivo, e non è stato facile bilanciare l'aspetto accademico con quello più personale ed emotivo. Se tornassi indietro, farei alcune cose diversamente, ma in generale ci tenevo che fosse un libri accessibile anche a chi non è del settore, non è un linguista o un insegnante di lingue, ma è semplicemente interessato all’argomento.
O anche a chi non è genitore, ma trova affascinante il tema della lingua nella vita quotidiana. Perché sembra incredibile, ma ci sono ancora tanti pregiudizi e situazioni spiacevoli legate alla lingua.
Nel libro parlo dell’esperienza di crescere bambini multilingui, ma anche del rapporto con le lingue, degli accenti, etc. Ad esempio, ho intervistato persone che non hanno figli, ma che hanno vissuto esperienze molto personali legate alla lingua e alla discriminazione legata all’accento.
AA: Grazie Malwina!
MG: Grazie a te per la chiacchierata, mi è piaciuto confrontarmi con un’altra mamma e mi fa sempre piacere sentire le esperienze degli altri genitori.
Grazie di cuore a Malwina per questa chiacchierata! La trovi su Substack e Instagram come Motherlingual e puoi acquistare il suo libro Mother Tongue Tied dovunque si comprano i libri :)
L’intervistatrice intervistata
Sempre in occasione della Giornata della lingua madre, sono stata a mia volta intervistata :) Roxana Degiovanni, argentina residente in Italia, è la web designer che mi ha seguito nella realizzazione del mio sito. A mia volta, in uno scambio personale e professionale vivo e arricchente, la sto seguendo nel percorso bilingue della sua famiglia.
È importante preservare la diversità linguistica con il multilinguismo perché, come scrive Julie Sedivy «spesso sono le lingue piccole e isolate parlate in angoli remoti del mondo ad allargare la nostra concezione di cosa una lingua può essere».
Conoscere più lingue spalanca i nostri orizzonti e la nostra concezione di cosa sia possibile, non solo linguisticamente ma anche umanamente.
Rispondere alle domande profonde di Roxana è stata per me una bella occasione di pausa e di riflessione. Se vuoi leggere tutta l’intervista, clicca qui sotto.
Parlo anch’io! consiglia
A grande richiesta, ho raccolto in un unico luogo tutti i consigli di lettura (e di attività) che ho mandato in questo anno e mezzo di vita della newsletter.
Insegni italiano? Ti aspettiamo in Aula docenti!
Una volta al mese esce Aula docenti, la sezione di Parlo anch’io! dedicata esclusivamente a chi insegna italiano LS/L2 a bambine e bambini. Per riceverla, spunta “Aula docenti” nelle tue opzioni di abbonamento.
Ti segnalo anche che sono aperte le iscrizioni al webinar gratuito sullo scaffolding che si terrà il 3 aprile.
Nell’introduzione del suo libro, Malwina spiega bene il motivo per cui sceglie di parlare di madri e maternità e non più in generale di genitori e genitorialità: “Not all mothers give birth to their children, and not all people who give birth are mothers. Mothering should not be defined by gender, and certainly not all families have mother(s) and/or father(s). But when I use mother and motherhood, it is because those terms still predominantly signify a childbearing parent more obviously than parent or parenthood do, especially because mothers continue to be held up to higher standards and endure more judgment and scrutiny than fathers” (p. ix). [Non tutte le madri partoriscono i propri figli e non tutte le persone che partoriscono sono madri. L’essere madre non dovrebbe essere definito in base al genere, e di sicuro non in tutte le famiglie abbiamo madre (o madri) e/o padre (o padri). Ma quanto uso i termini madre e maternità, lo faccio perché indicano ancora prevalentemente il genitore che ha partorito i figli, in modo più immediato dei termini genitore o genitorialità, e soprattutto perché le madri continuano ad essere giudicate secondo standard più severi e a subire uno scrutinio più duro di quello a cui sono sottoposti i padri].
Traduzione mia.
Gioco di parole tra mother (madre), tongue (lingua), mother tongue (lingua madre) e tongue tied, che è il termine con cui nell’inglese comune si indica chi ha il frenulo corto, cosa che nei casi più gravi può dare problemi di pronuncia: è quindi anche un’espressione che indica l’essere frenati nel parlare, non liberi di esprimersi.