#17 Segni e multilinguismo
come hanno aiutato la nostra famiglia, come potrebbero aiutare la tua (e altre domande)
Cara amica, caro amico,
Benvenuta e benvenuto a Parlo anch’io!, la newsletter sull’italiano per bambini e bambine in contesti multilingui.
Oggi ti parlo di come abbiamo utilizzato alcuni elementi della lingua dei segni americana (American Sign Language, o ASL) per facilitare la comunicazione dei e con i nostri bambini quando erano piccoli.
L’abbiamo fatto in modo molto fai-fa-te e probabilmente non canonico, ma ha funzionato alla grande! E non solo quando erano piccoli, anche in alcuni momenti di transizione scolastica in cui per vari motivi la comunicazione verbale non era partita subito.
Ti racconto quindi la nostra esperienza, sperando che possa dare idee o ispirazione anche a te.
Buona lettura!
Anna
La nostra storia
Per i primi due anni della vita del mio primogenito, l’ospedale mi ha mandato un’email settimanale di informazioni e consigli.
In una di queste email - arrivata attorno ai sei mesi - si tessevano le lodi dell’utilizzare alcuni segni con i bambini piccoli.
Io, devo ammettere, ero piuttosto scettica: la cosa mi puzzava di virtue signalling (“guarda come sono inclusiva, ho imparato a segnare happy birthday!”), ma dopo essermi documentata un po’, decisi di dargli una chance.
Lo scopo principale per cui, qui negli Stati Uniti, consigliano di introdurre alcuni segni già con bambine e bambini di pochi mesi è quello di permettere ai bambini di comunicare i propri bisogni, venendo compresi ed evitando così pianti e frustrazioni da entrambe le parti.
Viene consigliato di cominciare con 4 o 5 segni, alcuni relativi a bisogni fondamentali (es. latte, acqua, pappa) e altri relativi ad ambiti interessanti o divertenti per loro (es. libro, cane, musica). Mano a mano che i bambini crescono e cominciano a segnare, se ne possono introdurre di nuovi (ad esempio si può diventare più specifici con i cibi: mela, pera, mirtillo; insegnare mamma, papà, nonno, nonna o qualsiasi altra cosa sia d’interesse per il bambino e la famiglia). Noi, nel momento di massimo utilizzo, ne avevamo una ventina.
Come forse sai, la lingua dei segni non è universale: esistono la lingua dei segni italiana, quella americana (diversa dalla britannica), quella francese, etc. Quindi ci eravamo chiesti:
Cosa facciamo, introduciamo tre sistemi di segni oltre alle tre lingue che parliamo?
Non ci sembrava pratico. Così abbiamo deciso di utilizzare quella americana, che è anche molto nota a tutte le figure che lavorano nel mondo dell’infanzia (inclusa la nostra baby sitter dell’epoca).
In pratica utilizzavamo i segni dell’ASL, ma nell’interazione io nominavo l’azione o l’oggetto in italiano, mio marito in cantonese, la babysitter in inglese. In questo modo con un’unica serie di segni il bambino poteva esprimersi e farsi capire indipendentemente dalla lingua parlata con lui dall’adulto.
Una precisazione: negli Stati Uniti si parla di baby sign language (lingua dei segni infantile), che è una dicitura diffusa ma non accurata: indica che si tratta di un’adattamento della lingua dei segni, poiché i segni vengono utilizzati individualmente per indicare oggetti o azioni, in modo quindi rudimentale (non si formano frasi né altre strutture morfologiche o sintattiche).
Come scrive la studiosa Branda Chafin Seal in questo articolo curato per l’ASHA (l’associazione americana parola, lingua e udito):1
Chiamare lingua l’utilizzo dei segni con i bambini è culturalmente improprio. Senza la sintassi, la morfologia e la pragmatica dell’ASL, i segni dell’ASL sono solo segni o gesti simbolici. Allo stesso modo, utilizzare alcune parole spagnole con bambini in contesto anglofono può arricchire il lessico di termini spagnoli, ma non comporta l’acquisizione della lingua spagnola.2
Bisogna inoltre tenere presente le capacità motorie dei bambini: come le prime parole saranno dada o mama, così i primi segni saranno la loro personale esecuzione di un determinato segno. Ad esempio, il segno dell’ASL per acqua è il segno della W (per water, sono le tre dita interne della mano sollevate mentre il pollice e il mignolo si toccano) portato al mento un paio di volte. Mia figlia, già a sei mesi, comunicava di voler bere portandosi il dito indice alla bocca o alla punta del naso.
Non avendo altri termini di paragone, non so dirti se l’utilizzo dei segni in generale riduce capricci o frustrazioni, nel nostro caso probabilmente sì: per noi è stato molto emozionante poter comprendere cosa cominciavano a comunicare e anche i bambini provavano soddisfazione: dal farci sapere se erano pieni (con il segno di all done/basta) o se ne volevano ancora (more/ancora), al comunicare l’entusiasmo per il rientro di uno di noi (con il segno per papà o mamma) o ancora l’emozione di aver visto un cagnolino o un gatto per strada. Col passare del tempo, hanno imparato a farci sapere se volevano leggere un libro, ascoltare la musica, ballare, etc.
È stato utile anche avere una sorta di lingua franca, mi si passi il termine, compresa da tutti gli adulti coinvolti al di là delle lingue parlate da ognuno. Anche in caso di comunicazione limitata tra noi adulti (ad esempio tra me e i miei suoceri), il segno utilizzato dai bimbi era inequivocabile e immediatamente compreso da tutti.
Ma l’uso dei segni non rallenterà lo sviluppo verbale?
Questa è la preoccupazione che ho sentito più spesso. In base alle fonti che ho letto, la posizione ufficiale di pediatri e logopedisti americani è che i segni non causano ritardo nello sviluppo linguistico verbale in bambini e bambine che sentono (dopo tutto a me era stato suggerito proprio dall’ospedale).
Nel caso di bambine e bambini che sentono, come ho avuto modo di vedere nei miei figli, mano a mano che la parola verbale emergeva, il segno, per così dire, cadeva in disuso (tuttora, per sottolineare o dare più enfasi a un’affermazione, spesso alla parola verbale affianchiamo il segno).
Abbiamo avuto periodi di compresenza di circa un anno e mezzo-due, in cui per alcune parole utilizzavano il gesto e per altre la parola verbale. Attorno ai due anni-due anni e mezzo, l’uso dei segni si è esaurito. Se non che…
Un aiuto inaspettato
…i segni sono rientrati nella nostra vita in alcuni momenti di bisogno, devo dire inaspettatamente.
Nel mio giro di famiglie multilingui, il baby sign language è stato utilizzato per comunicare sia in situazioni di disturbi diagnosticati (mutismo selettivo, disprassia verbale) sia in situazioni quotidiane (gruppi di musica, lezioni di nuoto).
Mi ha colpito il fatto che tutte le professioniste e i professionisti a contatto con l’infanzia (pediatre, logopediste, psicologhe, maestre, insegnanti di nuoto, bibliotecarie, etc.) utilizzino quotidianamente questo mezzo di comunicazione.
È noto che non tutti i bambini e le bambine si sentono a proprio agio nel comunicare verbalmente con una persona nuova e/o in contesto nuovo, e ho notato che l’uso dei segni ha spesso contribuito a rompere il ghiaccio più velocemente. Mi sembra che sia confortante, per bimbe e bimbi che sentono, ritrovare gli stessi segni in contesti diversi e poterli utilizzare senza essere spinti a usare la voce.
Nella mia famiglia, ciò è successo quando siamo rientrati negli USA dopo un anno in Italia. Eravamo in Italia proprio nel 2019-2020; il mio primogenito aveva cominciato il nido e aveva poi dovuto interromperlo, come tutti, all’improvviso. Essere catapultato fuori dalla sua routine dall’oggi al domani era stato per lui uno strappo notevole e non privo di fatica.
Ricominciare la scuola a settembre, una volta rientrati, in un nuovo contesto e con una lingua che non sentiva da un anno, era stato un momento altrettanto delicato. Da settembre a dicembre non aveva aperto bocca, né con la maestra né con compagni e compagne, ma per fortuna la maestra non ne aveva fatto un problema e per tutto il primo quadrimestre avevano comunicato con i segni, fino a quando lui aveva deciso di cominciare a sussurrare e poi a parlare normalmente. In quel momento mi ero sentita grata di aver introdotto i segni nella prima infanzia, di aver introdotto un modo di comunicare “alternativo” che potesse aiutarci in momenti di necessità.
Ora mi chiedo: è legittimo tutto ciò? O si tratta di una forma di appropriazione culturale?
In tutta onestà, non lo so.
So che per la mia famiglia i segni sono stati e sono una grande risorsa e hanno contribuito a creare momenti di grande emozione e intimità tra di noi.
Questa motivazione la rende una pratica giusta, soprattutto visto che viene chiamata in modo incorretto? Di nuovo, non lo so.
Ma sono qui per imparare!
Se fai parte della comunità sorda e ti capitano queste righe tra le mani, fammi sapere cosa che pensi. Se pensi che questa newsletter possa essere interessante per qualcuno che lavora nel campo, non esitare a inoltrargliela.
Alla prossima, ci rileggiamo il 15 giugno.
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Ti consiglio caldamente di leggere tutto l’articolo, in inglese, che spiega bene i punti controversi e ha una ricca bibliografia alla fine. Se fai copia e incolla dentro ChatGPT non preoccuparti, farò finta di non vedere :)
«Referring to the use of Baby Signing as a language is culturally inappropriate. Without ASL syntax, morphology, and pragmatics, ASL signs are simply signs or symbolic gestures. Similarly, using a few Spanish words with a baby in an English-speaking home may add Spanish vocabulary but does not imply Spanish language acquisition». La traduzione italiana è mia.