Cara amica, caro amico,
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Oggi ti parlo di una cosa semplice ma per niente scontata, che sta alla base dell’apprendimento tout court e anche di quello linguistico: la relazione d’amore. Il libro che ti consiglio è infatti Grammamanti di Vera Gheno (Einaudi, 2024).
Buona lettura!
Anna
ps. tutte le citazioni che trovi sotto sono tratte dal libro Grammamanti, ma senza riferimento perché non so come fare a risalire alla pagina dal Kindle. Se vuoi fare un atto caritatevole e spiegarmelo, avrai la mia gratitudine eterna!
Vera Gheno? Ma quella dello schwa?
Proprio lei.
Ma facciamo un passo indietro.
Quasi vent’anni fa (!), nel 2007, sono andata in Erasmus a Vienna. Eravamo in molti a partire, per varie destinazioni, e una battuta che si sentiva spesso era la seguente: «per imparare la [lingua x], il modo migliore è trovarti un/a ragazzo/a [nazionalità]!».
Quella battuta di dubbio gusto conteneva un fondo di verità: la relazione, la relazione d’amore, è uno dei motori più potenti per l’apprendimento linguistico. Non dev’essere per forza l’amore romantico, anzi: c’è l’amore dei genitori per figli e figlie, delle nipoti per i nonni, l’amore per una specifica letteratura o autore che ti spinge ad impararne la lingua, e così via.
Per quanto parlare e comunicare non siano la stessa cosa, parlare ci serve per comunicare e il desiderio di comunicazione scatta in primo luogo nei confronti delle persone con cui vogliamo avere una relazione. In primis, le persone che ci vogliono e cui vogliamo bene, che quando siamo piccoli e piccole coincidono di solito con le persone che ci accudiscono.
Più le persone che ci circondano ci rivolgono le loro attenzioni, cioè ci vogliono bene, più il linguaggio fiorirà.
Purtroppo ogni tanto perdiamo di vista questa cosa e ci fossilizziamo sugli elementi singoli dell’apprendimento. Ultimamente mi sono capitate sotto gli occhi molte tabelle di tappe dello sviluppo linguistico, per cui ho in mente soprattutto immagini di questo tipo: pietre miliari che scandiscono il viaggio, ma che ogni tanto scambiamo per la meta stessa.
Magari ci impuntiamo sul fatto che i nostri studenti/figli non hanno ancora imparato la tal regola di ortografia, che non leggono abbastanza speditamente, etc. etc.
In questi casi potrebbe essere utile fare un passo indietro e tornare a quella o a quelle relazioni che per prime ci hanno spinto a fare quello che stiamo facendo (insegnare, studiare, parlare, leggere, scrivere in una certa lingua).
L’amore per la tua terra o cultura d’origine?
L’emozione provata da adolescente leggendo una poesia di Achmatova, che capivi confusamente ma che ti ha dato la certezza che da grande saresti diventata slavista?
L’amore per la tua famiglia: genitori, figli e nonni, che vorresti potessero comunicare grazie a una lingua comune, nonostante la distanza?
Il libro Grammamanti mi è piaciuto moltissimo proprio perché rimette al centro questa relazione fondante, in tutte le sue sfumature. Mi ha anche colpito perché, per parlare della lingua italiana e dell’amore per essa, Gheno invita continuamente a uscire dal perimetro dell’italiano e ad avventurarsi in altre lingue e culture. Sembra una contraddizione, ma non lo è: l’amore spalanca, non chiude.
Per questo, pur non essendo un libro rivolto specificamente a insegnanti né tantomeno a famiglie multilingui, è un libro che consiglio fortemente a tutte e tutti coloro che amano la lingua, italiana e non solo.
Ecco i tre motivi principali per cui, secondo me, vale la pena leggerlo:
Perché difendere la lingua ci porta ad avere posizioni chiuse e intransigenti, mentre amare la lingua ci porta all’apertura e alla curiosità.
Ascolta altre lingue, anche quelle che non conosci […]. Meravigliati dei fonemi che sono così difficili per noi e così naturali per chi parla quella lingua dalla nascita.
Per l’ottimismo nei confronti dei e delle giovani.
Come ricorda Gheno (anche in questa video intervista, dove fa una digressione interessante sulle parolacce), è dai tempi dei tempi che i vecchi (o i vecchi dentro) si lamentano della decadenza dei giovani, che includerebbe anche la decadenza del linguaggio.
Invece è proprio l’opposto: una lingua che cambia è una lingua viva, una lingua che si adatta alle esigenze del presente e di chi lo vive. L’autrice guarda ai giovani e al loro modo di esprimersi con grande curiosità e fiducia, una ventata di freschezza in atmosfere spesso pesanti.
Il punto centrale del linguaggio giovanile è che denota una fase transitoria della maturazione di ogni individuo. Il problema, dunque, non è parlare così a diciassette anni, ma continuare a parlare allo stesso modo anche a trenta.
Perché spiega in modo semplice e chiaro alcuni dei punti più interessanti del dibattito attuale sulla lingua (italiana e in generale): le origini del linguaggio, l’anelito a un linguaggio inclusivo (o “ampio”), la necessità di cambiare il modo di insegnare la lingua italiana nelle scuole, i benefici del multilinguismo.
Se non hai voglia di leggerti pipponi di linguistica, ma ti interessa farti viaggio panoramico e affascinante nella nostra lingua, ti consiglio di procurarti una copia di Grammamanti.
E se lo hai già letto o lo leggerai, poi fammi sapere cosa ne pensi :)
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Grazie, Anna, per le tue osservazioni (e il consiglio di lettura!). Mi piace sempre pensare alla lingua - e ai linguaggi simbolici in generale - come strumento flessibile e mutevole del soggetto. Da qualche parte, qualche tempo fa, avevo ragionato su come ogni lingua che si possiede permetta di dire specifiche ed esclusive parti di sé... Recupero il testo e te lo condivido!